Intervista a Leo Pari

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Il canto delle Sirène

In occasione di un suo concerto, abbiamo incontrato Leo Pari per parlare della trilogia che comprende i suoi due ultimi lavori, Rèsina e Sirèna. Seduti davanti a un bicchiere di vino abbiamo parlato anche del cambiamento degli ultimi anni, della sua etichetta e del Collettivo Dal Pane.

Dopo Rèsina, tre mesi fa hai pubblicato Sirèna, la seconda parte di una trilogia che si dovrebbe concludere il prossimo anno; come nasce questa idea?
Avevo già composto alcune canzoni quando mi è venuto in mente di realizzare questa trilogia che, attraverso il racconto di storie d’amore, potesse parlare dell’essere umano e delle nostre esistenze. Non è un caso, infatti, che entrambi i titoli abbiano l’accento grave sulla e. “È” come la terza persona del verbo essere.

Quindi, possiamo dire che tutto è nato dall’idea della trilogia?
Sì, anche se tra i due album ci sono delle differenze. Rèsina è un disco che racconta la biografia di una storia d’amore, una sorta di diario di viaggio dall’inizio alla fine di una vita insieme. Sirèna, invece, è un disco più allegro, più solare, dove si trattano i sentimenti con un respiro più ampio. Anche a livello di sonorità c’è una certa differenza. Mentre il primo è un disco più aspro – suonato con pianoforte, chitarre e pochissimi altri strumenti -, il secondo è un disco più morbido, dove ho curato di più le sonorità, dove c’è una maggior presenza delle tastiere. Potremmo dire che se Rèsina è un disco di terra, Sirèna è un disco d’acqua.

I due titoli, tra l’altro, sono degli anagrammi; sarà così anche per il terzo album?
Potrebbe anche essere, ma non è detto (sorride).

In questo disco si può dire che hai fatto tutto da solo, dalla produzione all’arrangiamento (realizzato in collaborazione con Mr Coffee), per chiudere con il missaggio di Tommaso Colliva. Avevi già le idee chiare?
Avevo già pensato di affidare la produzione a Tommaso, perché trovo il suo stile e il suo gusto complementari a quello che dovevo registrare. Lui usa molto i reverberi e fa dei missaggi molto morbidi. Così, ho pensato che potesse essere la persona adatta per quest’album. Il disco è prodotto con Mr Coffee che è il tastierista di diversi artisti come Niccolò Fabi o Roberto Angelini. Mr Coffee è riuscito a dare un apporto non trascurabile alla realizzazione dell’album; con le sue sonorità ha completato il mio lavoro, trovando la forma definitiva dei brani. Trovo che, rispetto al precedente lavoro, si avverta una certa differenza.

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Come Rèsina, anche Sirèna si può considerare un concept album: protagonisti sono sempre l’amore e i sentimenti, anche se in questo nuovo lavoro – un po’ l’hai già anticipato prima – sembra esserci qualche differenza, forse più spensieratezza.
Mentre in alcuni brani Rèsina si può anche considerare “drammatico”, in Sirèna c’è una visione più scanzonata e spensierata dell’amore. Infatti, non si parla più in maniera greve e assoluta di una storia d’amore, ma c’è spazio anche per storie d’amanti come in “Piccolo sogno”; c’è spazio per storie di sesso come in “Boogie #12”; c’è spazio anche per l’allegria e l’euforia che si può provare quando, finita una storia d’amore, ne arriva un’altra a sorprenderci, come in “Cara Maria”. Ci sono storie di fine rapporto, di commiati come “Ancora ancora” e riflessioni più personali come “L’uomo niente”; o “Assholo”, che è un pezzo che non parla d’amore ma della mia infanzia.

Nella mia recensione al disco affermo che questa seconda tappa della tua trilogia ha echi della scuola romana degli anni settanta e, aggiungerei, anche Battisti e Baglioni; mi sbaglio?
No, non sbagli. Trovo ci sia anche qualcosa di Antonello Venditti. È quella la scuola dalla quale sento di derivare, quindi il tuo accostamento è giusto.

Ci puoi anticipare cosa aspettarci dal capitolo finale della trilogia?
In questo periodo sto già lavorando a dei pezzi nuovi, ma ancora non preannuncio nulla.

Parliamo un po’ del passato: dieci anni fa cantavi “Un grillo per la testa”. Cos’è cambiato in tutto questo tempo?
In questi anni sia io sia Grillo siamo molto cambiati. Quando scrissi quella canzone, aderivo a una mozione populistica, che aveva l’intento di mettere in contatto tra di loro le persone, divulgando informazioni altrimenti inaccessibili; un servizio che mancava. Successivamente le cose sono cambiate e semplicemente non voglio diventare il musicista di nessun partito politico.

E a livello artistico?
È cambiato soprattutto il mio indirizzo musicale; ho abbandonato il rap, la musica elettronica e sono tornato alle mie origini, che sono nel folk e nella canzone d’autore. Pur essendomi sempre considerato un songwriter, nei primi due dischi ho sperimentato molto, alternando parti di canzone al rap e all’elettronica. A questo cambiamento si è affiancato anche un cambio delle tematiche.

La tua etichetta, la Gas Vintage Records, ha in cantiere nuovi album? Penso a Discoverland, il progetto di Pier Cortese e Roberto Angelini.
C’è l’idea di realizzare il secondo capitolo di Discoverland; in estate dovremmo registrare il nuovo album che, salvo imprevisti, uscirà a ottobre. Forse ci saranno anche dei brani inediti, ma al momento è tutto da decidere. Posso invece dirti che a marzo ho prodotto Thee Elephant; è una band che fa rock psichedelico californiano, molto ispirato agli anni settanta.

Come vedi la scena romana contemporanea.
Mi considero uno degli esponenti di questa nuova ipotetica scuola romana di cantautori, insieme ad altri artisti come Roberto Angelini, Pier Cortese e Mannarino. In questi ultimi anni, a differenza del passato, si sono formate diverse realtà – anche dialettali – che a Roma sono sempre mancate, come quella dei gruppi rock. Basti pensare a band come gli Eva Mon Amour o gli Operaia Kriminale, o gli stessi Thee Elephant. Roma è sempre stata considerata come la città dei cantautori, ma mi fa piacere vedere che qualcosa di diverso si sta muovendo.

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Di recente hai fatto parte del Collettivo Dal Pane, insieme ad artisti come Roy Paci, Pino Marino, Zibba e Fabio Rondanini. Com’è nato?
Il Collettivo e il conseguente progetto sono nati in seguito alla scomparsa di un nostro caro amico, Valter dal Pane, gestore di un locale di Faenza, il SGHISA. Qui, ogni anno durante il Mei, facevamo le ore piccole, suonando e parlando fra di noi. L’intento del primo concerto era di aiutare economicamente la compagna e i figli di Valter. Da allora, ogni concerto ha sempre uno scopo benefico ed è un’occasione per noi musicisti di confrontarci. È da questi confronti che è nata l’idea del disco; l’abbiamo registrato alla Posada Negra di Roy Paci. Ognuno di noi ha portato un suo brano e ne è venuto fuori un lavoro molto eterogeneo, con un sound abbastanza unico.

Hai altri progetti in cantiere?
Ogni tanto mi diverto a suonare con degli amici pezzi country rock, southern, in perfetto stile Neil Young & Crazy Horse. La formazione è composta da due chitarre, un basso e una batteria. I brani sono tutti inediti e li ho composti io stesso; magari deciderò di farne un nuovo progetto, chissà…

(Pubblicato su Shiver)

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